MILANO\ Inaugurazione Leica Galerie

Inaugurazione della Leica Galerie ieri, Milano, da qualche parte sulla sinistra di piazza Duomo. Uno spazio piccolo ma bello e intimo, che di sicuro in affitto costa una follia, il che mi fa pensare che alla Leica tutto sommato gli affari vadano ancora bene.

L’evento è un mix di mostra fotografica, propaganda di fotocamere molto costose e ressa per prendere gli accrediti per l’evento delle 18, Auditorium S. Fedele con McCurry, Barney e Abbas che parleranno dei loro lavori. La mostra si chiama “The right moment” un concetto che non credo sia da spiegare a nessuno soprattutto quando si parla di Magnum Photos.

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Fila si…ma nemmeno troppo

Ci sono foto degli artisti più noti dell’agenzia in piccolo formato, appese sopra ogni muro del locale ma, ammetto di non trovarci una grande coerenza…sembra scarsamente omogenea e mi da più che altro la sensazione di essere una raccolta delle foto migliori degli artisti e poco altro…poco legate in alcuni casi al titolo della mostra. C’è la sensazione che sia più marketing che altro, un nome evocativo e tante foto spacciate per una mostra che in realtà manca di identità che poi, lo capisco anche visto che lo spazio, è soprattutto un Leica store, con macchine fotografiche e vetrine zeppe di cimeli sparse tra i muri.  Non so, sensazioni contrastanti…le foto sono come sempre clamorose…se fossi da solo e in totale silenzio magari apprezzerei di più. Forse.

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Esco dopo essermi fatto un paio di giri, fila all’ingresso dimezzata…sacchetto di plastica con materiale promozionale e gadget in alluminio con su scritto LEICA T…due ore in giro a fare un po’ di foto che oggi Milano è disseminata di eventi e di sole e  ci sono più stimoli visivi di quanto ne possa trovare in una settimana a Varese. Alle 18:30, accredito numero 52 nella mano, mi siedo nell’auditorium. C’è il gran capo di Contrasto Roberto Koch che dirige lo show, Abbas sulla destra, Barbey a sinistra e poi la sedia vuota di Steve.


“E’ in ritardo…era a Torino per un impegno e ci raggiungerà piu tardi” dicono

Inizia Abbas…subito una battuta e tanta umiltà…

“Roberto ha detto ‘grandi fotografi’ ma io mi sento un amatore”

…e poi una carrellata dei suoi lavori in Iran, suo paese di nascita, devastato da guerra e rivoluzione. Parla  del suo volere mostrare tutte le facce di quel movimento…anche quelle che dovevano rimanere nascosti al grande pubblico…le foto che non si potevano pubblicare ma che lui ha diffuso comunque. Ci sono immagini forti e crude…fotogiornalismo alla massima espressione. Abbas parla poco e lascia parlare le immagini, ogni tanto indica qualche personaggio e ci racconta la sua storia e i suoi aneddoti, molti ritratti del primo ministro nella sua vita privata e infine anche la sua foto in un obitorio dopo la sua esecuzione.

Koch interviene sull’argomento chiedendo come si sentisse in quel periodo, essendo coinvolto in prima persona con persone che potevano essere anche suoi conoscenti o amici.

“Lascio tutto dietro una tenda e penso solo alla composizione della scena”

Abbas lascia fuori le emozioni e pensa solo a fotografare la realtà. E’ un fotografo che nelle sue foto trasmette una visione oggettiva e concreta degli eventi, il punto di vista di un osservatore che non esprime giudizi ma documenta semplicemente ovunque si trovi. 

Questa foto è l’emblema della filosofia di Abbas: se non mostri tutti gli aspetti della realtà stai facendo propaganda.

Un’altra incredibile foto di Abbas…forse la mia preferita

L’approccio di Barbey all’incontro è più soft e più giocoso e ha decisamente più voglia di chiacchierare. Sul telo da proiezione ci sono foto dell’agenzia Magnum negli anni ’60, vecchia generazione e nuova insieme, foto di gruppo, riunioni tra i membri. Poi si passa ai suoi lavori, per primo “The Italians”, un racconto in foto attraverso le città italiane e la gente, foto che ho sempre trovato eccezionali, foto che davvero sanno d’Italia nei piccoli dettagli che la contraddistinguono. Barbey è entusiasta di quel periodo, la gente lo accoglieva e lo ospitava in ogni città che visitava

“Ai giorni nostri non è più cosi” dice

“The Italians”…e in effetti, ‘sa’ d’Italia

Il “viaggio” continua con una Parigi in mezzo alle rivoluzioni studentesche del ’68, una foto simbolo di un movimento pubblicata e ripubblicata migliaia di volte, richieste da ogni parte del mondo e che ha proiettato Barbey nell’olimpo dei grandi fotografi.

La foto più famosa di Barbey del periodo “Parigi 1968”

“I negativi facevano avanti e indietro…New York…Parigi…Parigi…New York…e andarono persi ma per fortuna è possibile fare ottime scansioni alle stampe” dice tra i mormorii di dispiacere del pubblico.

Finito il capitolo parigino, Barbey inizia a parlare anche del suo periodo National Geographic…

“National Geographic aveva 45 milioni di lettori…era un periodo fantastico…lavori in giro per il mondo senza limiti di spese”

…e si intravedono i suoi primi lavori a colori. Lui non si definisce fotografo di guerra anche se alla fine documenta le più importanti zone calde del mondo. Mostra il suo lavoro sulla Polonia, diventato iconico di un paese in cambiamento e una serie molto più intima e personale del suo Marocco. Oltre le foto ci sono anche riflessioni e dialoghi (in video) tra Barbey e vari editors. Interessante la discussione sulla simbologia di una foto di un convoglio americano che si allontana da uno sfondo in fiamme.

“Sembra che dicano ‘noi siamo l’america’…con il fumo alle spalle…pronti ad un nuovo conflitto”

Kuwait, 1991

Si passa a Shangai e Brazile, l’avvento del digitale di cui Barbey è entusiasta per l’estrema flessibilità, tutti possono essere fotografi, i tempi sono cambiati, non si lotta più armati di Kodachrome, le foto di notte si possono fare anche senza flash, sono tempi eccitanti per la fotografia insiste, ed è su questo argomento che verte la discussione finale, anche se Abbas è molto meno eccitato dal suo avvento, per lui non è cambiato nulla,

“Prima c’erano i provini mentre ora le foto stanno sullo schermo…prima si consegnavano negativi, ora file”.

Si arriva ai saluti finali e applausi…viene annunciato un nuovo appuntamento alla Leica Galerie ma sono le 20 e decido di lasciare perdere aperitivi congestionati in spazi angusti. Mentre torno verso la stazione però, penso molto alla frase di Barbey…

“Con il digitale tutti possono essere fotografi”

E’ passato il tempo delle buste di carta con i negativi da spedire da un fronte di guerra. C’è internet adesso, se succede qualcosa mille persone lo stanno raccontando in real time e tutti…TUTTI…si possono inventare reporter e fotografi.

Ma, c’è il fattore qualità. Ad ogni foto proiettata mi sentivo imbarazzato per me stesso nel vedere il livello di quei lavori…e con tanto materiale che viene fuori ogni giorno, è più facile distinguere la mediocrità da i lavori che lasciano traccia davvero.

Barbey, 1991

E le storie poi…è difficile stare sul pezzo e competere in prima persona fra tanti squali della notizia sparsi per il mondo degli eventi quindi, come emergere?

Abbas, Iran

C’è da trovare storie nel nostro piccolo forse…allontanarsi dalla voglia di spettacolarizzazione e competizione sfrenata e cercare nel piccolo che ci circonda e soprattutto, selezionare…selezionare allo sfinimento con forte dosi di autocritica le foto che scattiamo, alzando l’asticella sempre di più e forse, forse, si potrà emergere dalla mediocrità e lasciare un segno in questa marea di immagini anche se è davvero difficile.

Ah…”e Steve McCurry?”  vi starete chiedendo.

Io temo che non sia mai arrivato a Milano.

Profilo di Abbas: Magnum Abbas

Profilo di Barbey: Magnum Barbey

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