Un paese nel paese, è questo che sembra l’area industriale ex SNIA…che sta a Varedo ma
anche a Limbiate e Paderno Dugnano giusto per dimostrare che ‘si’…è grossa…abbandonata in mezzo al nulla di campi moribondi, frasche, natura chernobiliana e rottami di varia origine. Un ecomostro vecchio stile, di quasi novant’anni, uno dei complessi industriali più grandi della Lombardia e che sfamava migliaia di bocche, lavorando incessantemente giorno e notte inquinando terra, cielo e acqua e che adesso se ne sta li, immobile e desolato mentre la natura si prende la sua rivincita.
Scoperta per caso…che nonostante il mio passato di amante smodato di rovine industriali non la conoscevo anche perché quel passato è vecchio, visitavo cadaveri di cemento ma solo se vicinissimi a casa, tipo che ci andavo a piedi, prime mie esperienze fotografiche, reflex e giù alla conciaria Cornelia, in fondo al paese e vicino al fiume, che lo sappiamo tutti dove vanno a finire i rifiuti industriali.
Scoperta perché ho alcuni amici dalle passioni originali e il complesso in rovina diventa un set ideale e invita uno e invita due e invita tre, ecco che alla fine me la son girata tutta o quasi mentre polemiche, corruzione e il classico gioco dello scaricabarile ancora non fa capire cosa ne sarà di tutta quest’area nell’immediato futuro. Si parlava di area per l’Expo 2015, si parlava di nuovo ‘polo della moda’…e qua in Italia come al solito, si parla troppo e si agisce poco ed intanto, l’area crolla da sola pezzo dopo pezzo ed è sempre più abitata da ospiti senza un soldo in tasca.
Ci arrivo andando ad occhio e memoria, oltre un boschetto e oltre il furgone incendiato, passando le reti divelte fino ad arrivare al muro in mattoni dotato di comodo buco in cui infilarsi…è il mio accesso preferito perché fa molto avventura e mi fa sentire davvero un esperto esploratore, come se fossi di casa.
Nel suo “orrore, nella sua esagerazione, mi piace. La maggior parte delle rovine industriali si assomiglia parecchio di solito…enormi stanzoni vuoti, pilastri di cemento grigi rosicchiati dal tempo e vetri rotti. Poco altro da vedere in mezzo a tanti spazi vuoti, di solito.
Ma qui è diverso, il complesso ha una sua anima particolare…i reparti produttivi dei trafilati e del nylon sono ancora tutti presenti. Tubi, macchinari, pannelli operatore, pulsanti disseminati ovunque nelle varie sezioni, reparti di stoccaggio pieni di trafilati, uffici con schedari e documenti, bagni, ascensori, dislivelli, torri, silos, architetture diverse nei vari capannoni e colori poi, muri tinteggiati, archi e sezioni con scale, passerelle, cunicoli.
Ma la cosa che più mi affascina e mi conquista, è l’unione…o la lotta…tra natura e rovine dal sapore post-apocalittico. Parlavo di rivincita prima…di tutti i veleni che questo stabilimento riversava sull’ambiente attorno ed ora, che tutto è immobile, le radici prendono di nuovo il loro spazio tra il cemento e crescono selvagge mentre i colori si uniscono creando scenari quasi surreali.
Lo stabilimento è diviso in diversi capannoni uniti da strade interne ed è una continua scoperta..ogni “reparto” ha quasi un suo stile unico, di diversi colori spesso sgargianti ezone illuminatee si alternano a sezioni nel buio più assoluto che si ramificano in profondità all’interno dei reparti produttivi…
…ed è opportuno stare sempre molto attenti sia per gli incontri (c’è gente che ci abita), sia per il rischio di farsi seriamente male tra passerelle arrugginite, buchi senza fine nel terreno e muri pericolanti. Insomma, per chi è amante di questo genere di esplorazione consiglio vivamente di farci un salto, non da soli, con una torcia in mano e soprattutto, portando rispetto senza sprofondare nel vandalismo di cui purtroppo è sempre più bersaglio questo reperto di un’altra epoca.
Per tutte le altre foto, date un’occhio alla gallery qua sotto.





































